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CUBA, EL TREN DE HERSHEY: da l’Avana a Matanzas. L’essenziale nel buio

El tren de Hershey, la ferrovia che collega l'Avana a Matanzas, così chiamata dal nome del piccolo paese che attraversa. Un vero giorno da cubani, attraverso paesaggi sconosciuti, lontano dalle grandi città. Un viaggio per chi vuole vedere l'altra faccia di Cuba,  quella della sua essenzialità.


Stazione di Casablanca, sui binari lungo la strada, staziona un ammasso di ferro putrefatto che i cubani chiamano treno, l’impatto emotivo è molto duro. Un tecnico, per far avanzare il treno, con  una corda di canapa e un gancio cerca di far salire il pantografo, completamente arrugginito, fino a toccare i fili della corrente. Alcuni operai martellano pesantemente. Sono le 4.30, l'alba è ancora lontana. Finalmente si parte. Viaggio nel buio, inseguendo una strada che non mi appartiene. Un percorso obbligato, dietro al quale esiste la pura essenza di questa terra, la sua realtà nuda e cruda. Siamo seduti in una carrozza, proiettati in un luogo fuori dal tempo, dentro un vagone dei primi del Novecento, consumato da migliaia di chilometri  fatti nel nulla. Una scintilla, un luccichio e si va. E' il pantografo a segnare il cammino verso la destinazione finale. Matanzas è la meta, ma in fondo non è quello lo scopo. Mi guardo intorno, solo una fioca luce penetra dai vetri sporchi e opachi, il resto è solo buio. Non vedo distintamente i miei compagni di viaggio. Li riconosco dalla forma, so che ci sono. Un costante rumore di sottofondo. Sembra quasi un sibilo prima di un temporale. E' il pantografo, a ricordarci che siamo qui, come burattini appesi ad un filo, il suo. Il vagone si muove traballante sui vecchi binari malandati, come se danzasse al ritmo di una rumba o di una salsa. Guardo avanti il macchinista silenzioso. Sta lì, con la porta aperta. Armeggia con le leve ponendo attenzione alla strada. Passiamo a bruciapelo tra le case, dove detriti di cemento e silos prendono il posto a fiori e staccionate di legno. Il volto del conducente è deciso, compenetrato nel suo ruolo. Fuori, la campagna ritorna ad indicarci la via prima di giungere alla fermata successiva. Una stazione fantasma.
La donna, che dormiva adagiata sul braccio, come a nascondere il volto segnato dal tempo, prende tutti i suoi averi e lentamente poggia i piedi sui gradini del treno diretta verso un’altra meta, probabilmente sta tornando a casa. I capelli raccolti nel fazzoletto chiaro, tiene stretta a sé la sua vita, i suoi bagagli, la sua sporta. Lo spazio e il tempo si confondono alle forme fatiscenti, luci ed ombre si mescolano all'aria appesantita. Guardo i buchi sul pavimento, danno una nuova visione a questo mondo. Oltre al filo che ci lega ad un  cielo vermiglio delle prime luci del giorno, possiamo ammirare ciò che accade giù in basso, sulla terra incorniciata dalle sbarre di ferro arrugginito solcata dal “ferrocarril”. I binari raddoppiano, siamo alla stazione di Hershey, una delle poche soste di questa breve corsa nel non-tempo. Venti minuti appena per una boccata di fumo. Col calore del sole nascente si sciolgono le ombre proiettate dai corpi e i muscoli s'allungano ingannando l'attesa. Le pupille si dilatano nell’incrociare gli sguardi ancora assopiti. Si parla un po'. Qualcuno, quasi prudente, rimane sul ciglio del vagone, come l'anziana signora che raccoglie le sue braccia quasi a proteggere il suo passato. Forse anche lei vuol continuare il viaggio senza perdere l'ultimo tratto per il capolinea. E' un percorso insolito,proficuo, umano. Due giovani seduti l'uno accanto all'altra. Sembra che continuino a dormire. Lui sonnecchia tenendo le mani sulle gambe di lei che invece resta, quasi guardinga, a vigilare il loro spazio. Niente è come appare. Un flash determina l'arrivo ad una fermata. Ecco il lavoro di quell'uomo: apre e chiude le porte del treno per consentire la discesa e la risalita dei passeggeri. E' lui che ad ogni stazione si alza, svicolando, solo per un momento, dalla sua donna. E’ in questo modo che si guadagna un posto nella società: qualche pesos a fine corsa, un viaggio nel paradosso, una donna accanto e un sedile quotidiano assegnato dal fato. Sì, proprio così. Qui, dentro a questo ammasso di ferro arrugginito, l'appartenenza è l'essenza dell'arte visuale, la realtà contemporanea dissolta nella routine, un urbanesimo rovesciato in un contesto che noi occidentali possiamo soltanto immaginare. Anche questa è la realtà cubana, intrisa di forti emozioni che manifesta la profondità dell'anima, quella che si respira per tutta l'isola. Sono un passeggero in più in questo viaggio dal buio verso la luce, uno scatto ancora e scenderò alla prossima fermata. Un viaggio, questo, nel potere assoluto dell’essenziale...






























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