Uliano
Lucas è un noto fotoreporter italiano. Un uomo dallo spirito libero, i cui temi sono stati molto spesso scomodi,
difficili da realizzare e anche da vendere. Profondo osservatore della fotografia che
cambia, ma non sempre in meglio, a suo dire. Nei suoi racconti ci sono le storie
di un mondo a cavallo fra due millenni, descritte con linguaggio e grammatica
visuale accurati e colti. Un fotoreporter attento ai cambiamenti, ma senza un
particolare trasporto verso tutte quelle nuove tendenze che spesso si rivelano semplici
modalità per raccontare storielle banali e non storie vere. Nel suo libro “La
realtà e lo sguardo”, sulla storia del fotogiornalismo italiano, c’è
una riflessione amara, ma ricca di suggerimenti, per tutti coloro che
vogliono dedicarsi, come lui, alla foto di reportage rimanendo liberi e “senza
padroni”: “Ha ancora senso produrre
inchieste “vecchio stile” quando la comunicazione visiva sta diventando
omologante a livello planetario, merce da vendere e da consumare, notizia da
imporre? In quali nuovi spazi può operare il fotoreporter per continuare a
documentare il reale intorno a noi? Continuo a credere nel reportage come
racconto colto, per spiegare, dare emozioni, far ragionare. Le foto come
memoria del nostro vivere". Uliano Lucas, non si è sottratto alla polemica
sul fotogiornalismo e non ha risparmiato critiche e giudizi su un
fotogiornalismo artefatto e ideologico che rasenta "il falso
storico".
Nasce
a Milano nel 1942. Il padre, operaio antifascista e partigiano, subisce un isolamento
di cinque anni che porta Lucas a crescere e a formarsi in un ambiente di tipo
proletario con l’aspirazione ai grandi cambiamenti sociali. A sedici anni
inizia a frequentare il Bar Jamaica e il Bar Genis a Milano, ritrovo per idee e
progetti innovativi che coinvolgevano, in quegli anni, intellettuali, artisti,
giornalisti e fotografi come Ugo Mulas, Mario Dondero e Giulia Niccolai. E’ da
queste frequentazioni che in Lucas nasce la passione per la fotografia e più
precisamente per il fotoreporter freelance, una professione che consentiva, ad uno spirito libero e ribelle come lui, piena indipendenza e autonomia
senza vincoli e costrizioni. All’inizio della sua carriera Uliano Lucas
documenta tutti gli aspetti della sua città natale, ma è il Sessantotto l’anno
che segna una svolta nella sua carriera e che lo porta a viaggiare per il
mondo. Riprende piazze, operai,
drappelli di polizia, barricate, università occupate. Documenta le
manifestazioni del Movimento di Liberazione delle Donne e del movimento
femminista con il noto slogan “Tremate, tremate le streghe son tornate!”. Dopo
il Sessantotto, documenta svariati temi sociali su quelle che sono le realtà e le contraddizioni del proprio tempo: immigrazione, inquinamento, manicomi, classe operaia, carceri, ecc. Famosi anche i suoi reportage sulle guerre e sulle lotte per la democrazia e la libertà: l’Africa con le sue guerre e il
neocolonialismo, il Marocco, la Tunisia, l’Etiopia, la Cina, il Sud America. La particolarità
dei suoi reportage riguarda più le condizioni dei vivi, le loro difficoltà, gli
stati psicologici e le loro speranze, che spettacolari scene di battaglie o
di morte. Da spirito libero, Uliano Lucas è molto critico verso chi, senza
preparazione culturale sui luoghi fotografati va alla sola ed esclusiva
ricerca di scene sensazionali, atte a "far cassa" più che a
documentare un conflitto evidenziandone ragioni politiche, storiche e
culturali. A tal proposito afferma:«[...] c’è invece un’altra categoria, quella
che va nelle zone di guerra, senza un legame preciso, serio, “salariato” si
sarebbe detto una volta, con il mondo della committenza giornalistica ed
editoriale. E spesso senza capire nulla delle regioni e delle ragioni
(storiche, politiche, culturali) dei luoghi che vanno a fotografare e a
raccontare. [...]. Infine, ci sono i prezzolati, freelance mandati allo
sbaraglio, i “paparazzi del dolore”, che vogliono solo vedere e vendere
l’odore, il sangue, la morte. Come ho visto accadere in Africa o a Sarajevo,
dove nessuno voleva vedere la dignità delle donne che si truccavano, che
uscivano la sera, che andavano a fare la spese. Sotto le bombe, e in una città
assediata, ma segno di una vita normale che loro difendevano e rivendicavano, e
che nessuno voleva riprendere. Volevano solo vendere la morte».
Nessun commento:
Posta un commento