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Una lotta arcaica, tra l’uomo e l’animale, in un paesaggio
che muta con il passare delle ore.
Nello Stretto di Messina lo chiamano il
pesce cavaliere per il coraggio e la fierezza dimostrati nella lotta prima di
cadere abbattuto sotto il ferro del suo avversario.
E’ per questo che fin dai
tempi remoti, si parla di caccia e non di pesca.
A “cardata da cruci” è l’atto
finale della battuta di caccia.
La tradizione vuole che uno dei
pescatori, tranne il lanzaturi, cioè di colui che ha lanciato l’arpione, segni, con le
unghie della mano, quattro croci vicino dell’orecchio destro del pesce appena
issato sulla barca.
Un segno augurale di prosperità oppure un riconoscimento
“dell’onore delle armi” all’animale ucciso, per il suo nobile valore di
combattente.
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